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VIAGGIO AL CENTRO DEL PIANETA SETTER

Da Beccacce che Passione n.26 Ago/Set 2003 ( Intervista a Fabbri Orlando)

Il nostro intervistato si presenta così:
" Sono nato in Romagna, a Mercato Saraceno, non lontano da Cesena, nel 1944.
La passione per la caccia e per i cani, qui da noi, è stata ed in qualche misura è ancora una situazione del quotidiano. Una passione forse smodata, la mia, ma mossa dalla voglia di capire e di capire i segreti della natura ancor prima che di cacciare e di predare, ci racconta Fabbri.
Ho passato molta parte del mio tempo ad osservare , oltre che a cacciare.
Questione di "approccio".

Approccio è anche il "logo", il tema conduttore che ricorre nei suoi materiali documentativi….
"Approccio è un termine tecnico-venatorio quanto mai pertinente.
Ma è anche una mia filosofia generale nel rapporto tra il cacciatore la natura e l'allevatore ed i suoi cani.
Sbaglia di grosso, a mio avviso, chi pensa di dominare la natura: il rischio di generare prodotti Frenkenstein, per così dire, è sempre all'ordine del giorno.
Ritengo invece che la natura, l'ambiente, la fauna, gli stessi nostri amati cani, vadano studiati con grande attenzione, senza mai stancarsi di ricercare e di imparare, per poi governarli, nella misura del possibile, per interpretarli al meglio, senza stravolgerli.
La genetica, ad esempio, non è una opinione.
E poi la fretta di raggiungere risultati è una componente della civiltà moderna, o cosiddetta tale: la natura ha le sue leggi, i suoi tempi, i suoi ritmi".

E questo grande amore per i setter, da dove nasce?
" A pensarci con il senno di poi, ci sono coincidenze che segnano le scelte di ognuno di noi, che funzionano da richiamo.
Spesso è proprio un certo tipo di preda, le beccaccie per qualcuno, i cotorni per qualcun altro e così via, a sceglierci, a chiamarci, a predarci.
Ed è difficile spiegare il perché.
Tornando ai setter, quando ero ragazzo qui nella mia valle del Savio ( dal nome del fiume che scorre giù dagli Appennini) capitò che un noto allevatore toscano venisse a " morosa " (poi diventata sua moglie) da queste parti.
Nei suoi andirivieni in Romagna ebbe modo di lasciare alcuni setter di bella geniologia.
Mi resi conto, dopo un po' di tempo,che le mie fortune a caccia non derivavano tanto dalle mie virtù, quanto da quei cani: erano un tesoro, non avevano niente da invidiare a grandi campioni di quegli anni che avevo ammirato in gara.
Le caratteristiche comportamentali, la capacità di apprendimento e la straordinaria complicità che i setter inglesi sanno avere con il loro conduttore fecero il resto: da questi scenari, sul declinare degli anni 60, cominciai ad allevarli con sempre maggiore tenacia.
Oltretutto, secondo una qual certa mentalità di quegli anni, si riteneva che per ottenere un campione non bastasse solo una buona linea di sangue, ma servisse anche una notevole fortuna.
Io la pensavo in modo diverso: ipotizzavo, e credo di averlo in buona parte dimostrato, che metodo, studio e ricerca , il sapersi mettere in discussione di fronte ai diversi risultati, potessero ampliare la rosa delle possibilità di successo.
Una sorta di sfida a me stesso, in primo luogo: ritengo che certi successi interiori diano più soddisfazione delle medaglie, anche se naturalmente ognuno è libero di pensarla come meglio crede, al riguardo"…